Monte Monaco

Il Monaco
Percorrendo la pianura costiera nei pressi di San Vito Lo Capo (Tp) si nota, di fronte alle ripide quinte di roccia dell'ultimo tratto della catena montuosa dello Zingaro, un imponente campanile, un roccione isolato con ampia base, culmine arrotondato e un piatto pinnacolo laterale a ricordare insieme una figura umana massiccia, ingobbita e incappucciata, in abito lungo e grandi mani giunte in preghiera.
Le mani giunte sono rivolte verso la parete di roccia, ad est, la gobba invece guarda al mare, ad ovest. Questa figura è stata chiamata dai locali "il monaco" e il suo nome è stato poi esteso all'intero rilievo. Osservando il roccione da angolazioni estreme il monaco tocca la roccia di fronte a lui, prima con le mani giunte e poi con il volto incappucciato. E' così, assicurano i locali, che il monaco "bacia" la monaca.
Clypeaster - (Burdigaliano)
Il sentiero che porta in cima sale a tornanti dal versante occidentale fino alla sella a nord di Cozzo Mondello. Qui affiorano diffusamente rocce mioceniche: per la massima parte argille del Serravalliano (13-11 milioni di anni fa) attribuite alla formazione "Argille del Torrente Forgia", ma affiorano anche aree meno estese con il cosidetto "Mischio", una arenaria del Burdigaliano (20-15 milioni di anni fa), con evidenti grandi echinodermi fossili del genere Clypeaster (abbiamo già incontrato questi ricci di mare in questo stesso blog a proposito del marciapiede del lungomare di Bonagia, lastricato con questa roccia). Dalla cima del Monte Monaco si gode della vista sui due golfi: il Golfo del Cofano e il Golfo di Castellammare, ed anche di una inusuale vista da nord dei Monti dello Zingaro (foto sotto). Nei pressi della cima c'è una piccola cava abbandonata per l''estrazione del "Perlato di Sicilia", roccia bianca del Cretaceo superiore (100-70 milioni di anni fa), con evidenti frammenti di rudiste (un genere di molluschi) e coralli. La roccia appartenente alla Formazione Pellegrino che affiora diffusamente anche sul Monte Sparagio e intorno al paese di Custonaci.
Erctella insolida
Sui calcari del cretaceo è facile incontrare le grandi chiocciole saxicave (capaci di creare cavità nella riccia con la bava corrosiva) della specie Erctella insolida. Poco distante da qui, sul versante occidentale del Pizzo della Sella, è la Contrada Valanga, una grande frana dell'antichità, accaduta forse intorno al III sec. d.C., che è ancora perfettamente riconoscibile nei suoi tre elementi caratteristici: la grande nicchia di distacco in alto, il pendio di frana, con grandi frammenti separati da scarpate, e la zona di accumulo, con grandi e piccole porzioni di roccia, caoticamente disposte, che oggi ospitano un uliveto che si allunga fino all'edicoletta di Santa Crescenza.
La catena dello Zingaro vista dal Monte Monaco

La Passeggiata dei Briganti

Carta geologica delle Colme (ISPRA)
Le 'Colme' di Monte Sparagio sono meta piuttosto insolita per l'escursionismo nel trapanese, sono due punti quotati, due cocuzzoli, chiamati Colma di Mezzo (m1000) e Prima Colma (m1007), che caratterizzano un altopiano panoramico contiguo alla cresta occidentale del Monte Sparagio (m1110), rilievo più alto della provincia di Trapani. L'altopiano si sviluppa tra le quote m600 e m900 e si apre su uno dei paesaggi costieri più belli di Sicilia, tra il Monte Erice, l'inconfondibile sagoma del Monte Cofano e i versanti occidentali dei Monti dello Zingaro, con in mezzo, Contrada Purgatorio, Monte Palatimone, Piani di Castelluzzo e Penisola di San Vito. Il paesaggio è tipicamente carsico con evidenti doline, qualche grotta, piccole e grandi forme di corrosione superficiali.  Il paese più vicino è Custonaci, conosciuto per le cave di materiale lapideo di pregio e seconda area d'estrazione d'Italia dopo le Alpi Apuane. Sui fianchi del nostro altopiano, soprattutto lungo il versante meridionale, si aprono alcune cave ancora attive che estraggono lastre calcaree facilmente lucidabili, del tipo commercializzato come "Perlato di Sicilia" di cui si dirà nel seguito. Per quanto riguarda la vegetazione, oltre agli aspetti dominanti di gariga e steppa arida, sull'altopiano cresce un rado bosco di leccio e frassino, di un certo interesse naturalistico, associato a rimboschimenti con Pino d'Aleppo. Il bosco inverdisce il Pizzo e la Contrada Giacolamaro. L'area è stata luogo di latitanza del brigante Pasquale Turriciano, uno dei tanti giovani di Castellammare che rifiutarono di partire per la chiamata al servizio militare del 1862. Turriciano muore ucciso dai carabinieri nel 1870 dopo otto di brigantaggio. Nella sua banda fu anche il poeta borghese Camillo Cajozzo che ne mise in versi le gesta ed è nota a Castellammare la leggenda della "Tavula di Turriciano", una grande lastra orizzontale di roccia calcarea che si troverebbe sulla cima del Monte Sparagio, usata dalla banda come mensa.
Le rocce della cima, così come le rocce che affiorano estesamente sull'altopiano e sul versante meridionale, dove sono aperte le cave che estraggono il "Perlato di Sicilia", appartengono alla Formazione Pellegrino (sigla LEG sulla carta geologica in alto). Sono rocce calcaree caratterizzate da frammenti di gusci (bioclasti) di organismi marini delle scogliere del Cretaceo. Ad esempio le rudiste. Queste rocce si sono depositata in ambiente di scogliera, avanscogliera e scarpata superiore tra 113 e 93,9 Ma, tra i piani del Cretaceo Albiano e Cenomaniano. Geometricamente sotto queste, in affioramento per una striscia del versante settentrionale dell'altopiano, troviamo i calcari della formazione Piano Battaglia (sigla PNB), Giurassico superiore - Cretacico inferiore, piani Titoniano, Berriasiano e Valanginiano (150,8-132,9 Ma), che invece si sono formati in ambiente ad alta energia: scogliera e scarpata, caratterizzato da organismi capaci di resistere al moto ondoso ben ancorati al substrato. Caratteristici fossili di questo tipo di ambiente sono le Ellipsactinia, spugne a scheletro calcareo. Subito sotto i calcari di Piano Battaglia troviamo la Formazione Buccheri (BCH), del Giurassico (174,1-152,1 Ma), caratterizzata da calcari pelagici, spesso rosati, con fossili di ammoniti e, a luoghi, da un membro intermedio di radiolariti. Su questa formazione insistono alcune piccole antiche cave poste al margine settentrionale dell'altopiano. Vi si estraeva il cosidetto "rosso ammonitico". Il resto del versante settentrionale, al di sotto della formazione Buccheri, è interessato dall'affioramento dei calcari della Formazione Capo Rama, datati Norico-Retico, Triassico superiore (216,5-199,6 Ma). E' una successione sedimentaria nella quale si ripetono ciclicamente tre termini corrispondenti a tre ambienti che nelle scogliere attuali si trovano adiacenti: i calcari a Megalodontidi, tipici delle lagune di retroscogliera, i calcari stromatolitici, tipici delle aree intertidali (tra alta e bassa marea) e le brecce loferitiche, caratteristiche delle aree emerse delle piattaforme carbonatiche. La ciclicità è un fatto comune nelle successioni sedimentarie marine ed è conseguenza di ciclicità astronomiche.
Megalodontidi, Norico-Retico

Costiera Amalfitana

Calcare oolitico
Sulla nuda e panoramicissima cima del Monte Falerzio (m1013) o Monte dell'Avvocata, in Costiera Amalfitana, sopra l'abitato di Maiori, sopra l'omonimo santuario meta in maggio di numerosi devoti pellegrini al suono della tammorra, affiorano rocce evidentemente inclinate e suddivide in strati piuttosto sottili di colore bianco candido. Guardandole da vicino, meglio se con una piccola lente, si nota essere costituite da piccole sferette bianche con diametro di circa un millimetro, tenute insieme da micro-cristalli di calcite.
Santuario dell'Avvocata
E' un calcare oolitico, dove le "ooliti" sono sferette calcaree con una struttura interna di inviluppi concentrici di calcite. Il loro nome deriva dal greco oo= uovo e lithos=pietra, ma per capire che origine avessero i geologi hanno dovuto studiare i sedimenti che si formano nelle barriere coralline tropicali attuali dove le hanno ritrovate in aree ad alta energia (in presenza di moto ondoso) e acque tiepide sovrassature di carbonato di calcio. Le barriere coralline sono dunque le "fabbriche" attuali delle ooliti. A questo punto tutto diventa relativamente più semplice e guardandosi attorno, osservando i dettagli degli articolati rilievi calcarei della Costiera amalfitana, possiamo trovare altre tracce di quel paesaggio tropicale del passato. Siamo su una piattaforma carbonatica fossile, una delle tante che nel mesozoico caratterizzavano l'antico oceano Tetide, prima che la deriva dei continenti lo riducesse al piccolo "mare tra le terre" che è il Mediterraneo. Sappiamo anche quanto sia antica questa roccia come risultato del lungo lavoro di "correlazione" svolto da generazioni di geologi, sedimentologi e biostratigrafi. Si è proceduto controllando la posizione geometrica (rapporti stratigrafici) di queste rocce rispetto alle altre adiacenti e si è cercato di riconoscere fossili dei quali fosse conosciuto l'intervallo di tempo di esistenza. Si usano anche altri metodi di datazione, che confermano o perfezionano i dati, e oggi possiamo dire che questi sedimenti oolitici si sono depositati nel corso del Dogger o Giurassico Medio, tra 175,6 e 167,7 Ma (milioni di anni fa).
Crocus cfr. biflorus

Crocus cfr. biflorus
Camminando sui Monti Lattari, la catena di rilievi che sovrasta la Costiera Amalfitana, si nota un'altro interessantissimo deposito di gran lunga più recente: grandi accumuli irregolari di prodotti piroclastici, soprattutto sui versanti settentrionali. Sono imponenti accumuli di pietra pomice mescolati a suolo su cui spesso oggi crescono annosi boschi. La pomice è il tipico prodotto pirocastico di attuvità vulcanica in presenza di magma acido (ricco in silice), quindi molto viscoso. La pomice è nota come abrasivo e per la proprietà di galleggiare in acqua ed è qui testimonianza della intensa e periodica attività esplosiva del vulcano Somma-Vesuvio e dell'area dei Campi Flegrei negli ultimi 19.000 anni. Gli episodi sono stati registrati, qui come altrove nei dontorni, per un raggio di oltre 100 chilometri, sotto forma di spessi depositi piroclastici. Plinio il giovane descrive in una lettera la distruzione di Ercolano e Pompei del 79 d.C. e l'ultima attività del Vesuvio risale al 1944. Dalle creste dei Monti Lattari si vede, a nord, la grande pianura campana intensamente abitata e, sullo sfondo, a circa 30 chilometri, il Vesuvio.
Pomici sui Monti Lattari
Pomici sui Monti Lattari
Per quanto riguarda la flora arborea sui Monti Lattari si alternano, in fascia collinare, querceti sempreverdi e caducifoglie che in quota cedono il posto a carpini, ontani o faggi. Frequenti gli impianti di castagno governati a ceduo per ricavarne legna.
Campanula
Campanula fragilis Cirillo
Sparsi si trovano  aceri della specie Acer opalus subsp. obtusatum. Anche in pieno inverno si assiste a interessanti fioriture tra cui lo splendido Crocus biflorus Mill. e, simile e più raro, Crocus imperati Ten. Fuori dal loro periodo tipico capita di incontrare fiorite anche le campanule rupestri della specie C. fragilis Cirillo, che per alcuni autori è sinonimo di C. garganica Ten Questa specie è facile incontrarla sui vecchi muri.

Alberi del Salento

Quercus ithaburensis macrolepis
Ghiande e cupole di quercia vallonea
Il paesaggio del Salento è piuttosto antropizzato: estese colture di ulivo, terreno liscio e compatto, scarse aree incolte e rocciose con flora depauperata, aree limitate in cui la coltura dell'ulivo è praticata in maniera sostenibile con lo sfalcio delle spontanee al posto del trattamento chimico. Le stradine interpoderali sono ancora delimitate da muretti a secco, ma spesso sono asfaltate. Poco spazio lasciato agli alberi e gli arbusti della flora spontanea. Alberi che non siano ulivi si trovano per lo più lungo le strade, mutilati o ridotti a siepe per esigenze agricole e di circolazione. Tra gli alberi spontanei prevalgono le querce sempreverdi, quercia spinosa e leccio: Quercus calliprinos e Quercus ilex, ma esiste anche un interessante e circoscritto nucleo di Quercia vallonea o Quercus ithaburensis macrolepis, una quercia dalle grandi foglie e dal grande sviluppo orizzontale, che caratterizza, al di la dell'Adriatico, le coste della parte meridionale dell' Albania e la Grecia, compresa quella insulare. Questa quercia ha grandi ghiande tozze, per metà chiuse in una grande cupola dalle lunghe scaglie legnose. Il nome latino "macrolepis", che significa proprio grandi scaglie, riassume queste caratteristiche. I botanici sospettano che questa popolazione non sia autoctona e che la specie sia stata importata dalla Grecia nel medioevo con l'immigrazione dei monaci basiliani, ma questa tesi non ha modo di essere comprovata. Qualche esemplare monumentale alligna in aree urbane. Nelle aree rocciose incolte si trovano poche piante rupestri di ambiente calcareo tra cui, frequenti, Micromeria sp. e Phlomis fruticosa. Pochi anche gli arbusti di lentisco (Pistacia lentiscus), tipico della macchia mediterranea. Il paesaggio del Salento sta ulteriormente cambiando perchè è in corso la costruzione di una strada quattro corsie che lo attraverserà da nord a sud. Questa strada è stata pianificata tempo fa, probabilmente con parametri di sviluppo e priorità diversi da quelli che caratterizzano lo sviluppo, cosidetto "sostenibile", incoraggiato dalle ultime politiche europee.
Quercus calliprinos
Quercus calliprinos
Oggi i salentini parlano molto di Xylella un batterio che uccide gli alberi di ulivo giunto qui da qualche tempo. L'università ha proposto e pianificato il taglio degli ulivi, anche sani, per una fascia di 20 chilometri per impedire la diffusione del batterio che sembra sia veicolato da un cicadellidae, ma i coltivatori ritengono che questo rimedio sia peggiore del male e propongono di curare le piante malate anzicchè abbatterle. Staremo a vedere...